Ricorso  per  conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di
 Trento, in persona del  presidente  della  giunta  provinciale  dott.
 Mario  Malossini,  autorizzato con delibera della giunta regionale n.
 2354 dell'8 marzo 1991, rappresentato e  difeso  dagli  avv.ti  prof.
 Valerio  Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso
 quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da mandato speciale
 a rogito del notaio Pierluigi Mott di Trento in data 12  marzo  1991,
 n.  56248  rep., contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-
 tempore in relazione al d.P.C.M. 10 gennaio  1991,  pubblicato  nella
 Gazzetta  Ufficiale  n.  12  del 15 gennaio 1991, contenente "Atto di
 indirizzo e coordinamento alle regioni in materia  di  organizzazione
 degli uffici di statistica".
                               F A T T O
    Il  d.lgs.  6 settembre 1989, n. 322, che detta "norme sul Sistema
 statistico nazionale e sulla riorganizzazione dell'Istituto nazionale
 di statistica", in adempimento dalla delega di cui all'art. 24  della
 legge  n.  400/1988, stabilisce fra l'altro, all'art. 5, primo comma,
 che "spetta a ciascuna regione ed alle province autonome di Trento  e
 Bolzano  istituire  con  proprie  leggi uffici di statistica", uffici
 che, secondo la previsione dell'art. 2, primo comma, lett. c),  dello
 stesso  decreto  legislativo,  fanno  parte  del  Sistema  statistico
 nazionale, e nei cui confronti si esercitano i poteri di "indirizzo e
 coordinamento  tecnici,  allo   scopo   di   renderne   omogenee   le
 metodologie",  attribuiti all'Istat dal terzo comma dello stesso art.
 5.
    Ai sensi del secondo comma del medesimo art. 5 "il  Consiglio  dei
 Ministri  adotta  atti  di  indirizzo  e  di  coordinamento  ai sensi
 dell'art. 2, terzo comma, lett. d), della legge 23  agosto  1988,  n.
 400, per assicurare unicita' di indirizzo all'attivita' statistica di
 competenza delle regioni e delle province autonome".
    Per  quanto  riguarda  la provincia ricorrente, va rilevato che la
 materia e'  compiutamente  disciplinata  dalle  norme  di  attuazione
 contenute  nell'art.  10 del d.P.C.M. 31 luglio 1978, n. 1017, ai cui
 sensi fra l'altro le  funzioni  statali  in  materia  di  statistica,
 attribuite  agli  uffici  provinciali, sono delegate alla provincia e
 sono esercitate "dagli uffici istituiti  con  legge  provinciale  per
 provvedere  alle  attivita' statistiche di competenza delle province;
 degli uffici stessi l'Istat si avvale per l'esecuzione delle  proprie
 rilevazioni  rientranti  nelle  materie di competenza provinciale"; e
 nell'ambito della  predetta  delega  le  rilevazioni  statistiche  di
 interesse  nazionale  sono  effettuate  dall'ufficio  provinciale  di
 statistica.
    Ulteriori disposizioni in materia sono dettate  dal  titolo  terzo
 della  legge  11  marzo  1972,  n. 118, a cui fa espresso riferimento
 l'art. 10, quinto comma, del d.P.R. n. 1017/1978, e nell'art.  1  del
 d.P.R. 24 marzo 1981, n. 228.
    La  provincia  ricorrente  ha istituito e disciplinato il Servizio
 statistico provinciale con la l.p. 13 aprile 1981, n. 6, fra l'altro,
 "assicurandone l'indipendenza organica e tecnica rispetto agli organi
 provinciali", in conformita'  alla  previsione  dell'art.  1,  quarto
 comma,  del  d.P.R.  n.  1017/1978 secondo cui gli uffici provinciali
 "devono  essere  organizzati  in  modo  da   risultare   tecnicamente
 indipendenti rispetto agli organi provinciali".
   Ora  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 12 del 15 gennaio 1991 e' stato
 pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio  dei  Ministri  10
 gennaio  1991,  contenente  "atto  di  indirizzo e coordinamento alle
 regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica".
    Tale   decreto   contiene   una   dettagliata   disciplina   della
 organizzazione  e  dell'attivita'  degli  uffici  di statistica delle
 regioni: disciplina  che  non  ha  alcuna  base  di  legge,  esorbita
 dall'ambito  del  potere di indirizzo e coordinamento attribuito allo
 Stato, e per piu' versi appare lesiva delle competenze organizzative,
 legislative,  amministrative  e  dell'autonomia   finanziaria   delle
 regioni.
    Nel  silenzio  del  decreto,  sembra  da  ritenersi  che  esso sia
 applicabile anche agli uffici di statistica delle province  autonome,
 contemplati  insieme  a quelli delle regioni dall'art. 2, lett. c), e
 dall'art. 5 del d.lgs. n. 322/1989. Per  l'ipotesi  che  cosi'  debba
 intendersi,  la  ricorrente  propone  in  relazione  a  detto decreto
 ricorso per conflitto di attribuzioni, per le seguenti ragioni di
                             D I R I T T O
    1. - Assenza di fondamento legislativo. Violazione  del  principio
 di legalita'.
    Il  decreto  impugnato pretende di fondarsi, oltre che sull'art. 2
 della legge n. 400/1988, sulla citata previsione dell'art. 5, secondo
 comma,  del  d.legs.  n.   322/1989.   Ma   tali   disposizioni   non
 costituiscono  base  legale  sufficiente  per  l'atto di indirizzo in
 questione.
    Infatti, per quanto riguarda l'art. 2  della  legge  n.  400/1988,
 esso  non  e'  "norma  che  attribuisca  al  Governo la competenza ad
 esercitare  per  via  amministrativa  la  funzione  di  indirizzo   e
 coordinamento  e  che,  come tale, innovi il diritto positivo", ma e'
 norma "semplicemente diretta a ribadire la competenza, in via diretta
 e immediata, del Consiglio dei Ministri  a  deliberare  gli  atti  di
 indirizzo   e   di  coordinamento  governativi",  onde  non  vale  ad
 "eliminare le previsioni  normative  vigenti  al  momemto  della  sua
 entrata  in  vigore,  relative  alle  modalita'  di  esercizio  della
 predetta funzione", modalita' fra cui e' compreso in  particolare  il
 "principio di legalita' sostanziale" (sentenza n. 242/1989).
    Quanto  poi  all'art.  5,  secondo  comma,  del d.lgs n. 322/1989,
 questa Corte ha chiarito di recente che tale disposizione "si  limita
 a  richiamare  l'applicabilita'  dell'art.  2, terzo comma, lett. d),
 della legge n. 400/1988 all'attivita' statistica; essa, cioe' "non e'
 rivolta a istituire un determinato e particolare potere di  indirizzo
 e coordinamento, ma, piu' semplicemente, ribadisce che l'esercizio di
 tale  funzione  governativa  esige la deliberazione del Consiglio dei
 Ministri";  appare  dunque  chiara  "la  volonta'   del   legislatore
 ordinario  di  non  innovare  o  di  non  arrecare deroghe alle norme
 vigenti in materia di esercizio della relativa funzione  governativa"
 (sentenza n. 139/1990).
    Non vi e' dunque nessuna norma legislativa "sostanziale" che fondi
 l'esercizio  della potesta' di indirizzo e coordinamento "per dettare
 i criteri informativi sull'organizzazione degli uffici  regionali  di
 statistica",  come  si  esprimono  le premesse del decreto impugnato.
 Manca il "legittimo e apposito supporto nella  legislazione  statale"
 necessario  per  l'esercizio della potesta' statale, ed e' violato il
 principio di legalita', in quanto manca una legge  che  discerna  "le
 esigenze  unitarie,  che  sollecitano  l'esercizio della funzione", e
 detti "le norme volte ad attuarle", o stabilisca "almeno  i  criteri,
 in   base   ai  quali,  sempre  in  conformita'  di  dette  esigenze,
 l'indirizzo ed il coordinamento, ed i connessi vincoli dell'attivita'
 amministrativa regionale sono posti in  essere  mediante  atti  degli
 organi governativi" (sentenza n. 150/1982).
    Non varrebbe certo osservare in contrario che l'art. 21, lett. c),
 del  d.lgs n. 322/1989 prevede atti di indirizzo aventi ad oggetto "i
 criteri organizzativi e la funzionalita'.. .. ... degli enti e  degli
 uffici facenti parte del Sistema statistico nazionale".
    Infatti,  come  ha  chiarito  la  Corte  nella  citata sentenza n.
 139/1990 "l'art. 21, lett. c), va interpretato alla luce dell'art. 5,
 secondo  e  terzo  comma,  che..  ..  ...  distingue  l'indirizzo   e
 coordinamento    'tecnico'    da   quello   politico-amministrativo":
 quest'ultimo concernente "l'indirizzo politico delle  amministrazioni
 regionali  (o delle province autonome", il primo, invece, consistente
 "in indirizzi e criteri volti  allo  scopo  di  rendere  omogenee  le
 metodologie  statistiche  applicate  dagli uffici di statistica delle
 regioni  (o  delle  province  autonome),  la  cui  determinazione  e'
 riservata  all'Istat".  Onde "l'espressione usata dall'art. 21, lett.
 c), non puo' essere intesa come se  si  riferisse  all'organizzazione
 amministrativa  o  alla  distribuzione  del personale negli uffici di
 statistica delle regioni e delle province autonome",  materia  questa
 che  "rientra  a  pieno  titolo nelle competenze regionali nei limiti
 stabiliti dalla Costituzione e, per  le  regioni  e  le  province  ad
 autonomia  differenziata,  dai  rispettivi  statuti", ma "deve essere
 interpretata in relazione alle finalita'  per  le  quali  e'  posta",
 cioe'   va  "intesa  nel  senso  che  si  riferisce  ai  criteri  per
 l'organizzazione tecnica  del  lavoro  statistico,  vale  a  dire  ai
 criteri  che  presiedono alla scelta e alle modalita' di applicazione
 delle metodologie statistiche, nonche' ai  criteri  volti  a  rendere
 tale  applicazione  piu'  efficiente  e  produttiva";  ne'  vi e' "un
 rapporto di necessaria implicazione tra indirizzi  sulle  metodologie
 statistiche  e  indirizzi  sull'organizzazione  amministrativa  degli
 uffici di statistica (e del relativo personale)", poiche'  "e'  vero,
 invece, che tra i due poteri sussiste una reciproca autonomia logica"
 (sempre sentenza n. 139/1990).
    I  compiti  di "indirizzo" previsti dall'art. 21 in capo all'Istat
 "non rientrano concettualmente  nella  funzione  di  indirizzo  e  di
 coordinamento  che  lo  Stato esercita nei confronti delle regioni al
 fine di salvaguardare l'essenziale unitarieta' della pluralita' degli
 indirizzi politici e  amministrativi  connaturata  a  un  ordinamento
 autonomistico,    ma   rappresentano,   piuttosto,   una   forma   di
 coordinamento tecnico, che ha il solo scopo di unificare o di rendere
 omogenee  le  metodologie  statistiche  utilizzate  dai  vari  centri
 pubblici  di informazione statistica e che, come tale, non incide sul
 potere  -  spettante  alle  regioni  e  alle  province di Trento e di
 Bolzano entro i limiti di autonomia loro imposti  -  di  programmare,
 dirigere e gestire l'attivita' dei prorpi uffici statistici secondo i
 propri  bisogni"  (sentenza  n. 242/1989; concetti poi ribaditi nella
 sentenza n. 139/1990).
    Pertanto e' palese che l'art. 21, lett. c) (come l'art.  5,  terzo
 comma,  del d.lgs n. 322/1989 non offre alcun supporto sostanziale al
 potere di indirizzo e coordinamento che  il  Governo  ha  preteso  di
 esercitare con l'atto impugnato.
    Cio'  anche  a  tacere  del fatto che nelle premesse dell'atto non
 sono affatto richiamati ne' l'art. 5, terzo  comma,  ne'  l'art.  21,
 lett.  c),  del  d.lgs. n. 322/1989; che l'atto di indirizzo e' stato
 adottato dal Governo, nelle forme previste  dall'art.  2,  lett.  d),
 della  legge  n.  400/1988,  e  non  dall'Istat  ne'  del comitato di
 indirizzo e coordinamento dell'informazione statistica, come previsto
 per il coordinamento "tecnico" dagli artt. 5, terzo comma,  17  e  21
 dello  stesso  d.lgs.  n. 322/1989; che esso non e' comunque rivolto,
 per il suo contenuto, a "rendere omogenee le metodologie  statistiche
 utilizzate",  ma  a  incidere sulla organizzazione degli uffici delle
 regioni e delle province autonome.
    Sotto ogni  profilo,  dunque,  risulta  violato  il  principio  di
 legalita'.
    Nelle premesse del decreto, la' dove si asserisce la necessita' di
 adottare  l'atto  di  indirizzo e coordinamento per dettare i criteri
 informativi   sull'organizzazione   degli   uffici    regionali    di
 "statistica", si aggiunge l'inciso "tenuto conto che in tale senso e'
 intervenuta intesa con i rappresentanti delle regioni".
    Ora,  e'  di  tutta  evidenza  che  nessuna ipotetica "intesa" fra
 rappresentanti  delle  regioni  e  dello  Stato  potrebbe  valere   a
 sostituire  la base legale mancante per l'esercizio della potesta' di
 indirizzo. Onde la censura di violazione del principio  di  legalita'
 resterebbe in ogni caso integra.
    Tuttavia,  in fatto, non e' vero che sia intervenuta "intesa con i
 rappresentanti delle regioni" sul contenuto del  decreto,  e  nemmeno
 sulla  necessita'  di  dettare  con  atto  di  indirizzo  "i  criteri
 informativi   sull'organizzazione   degli   uffici    regionali    di
 statistica".
    In  realta', risulta che la conferenza Stato-regioni, nella seduta
 del 6 marzo 1990, su proposta  dell'apposito  comitato  speciale,  ha
 dato  il  proprio  assenso  ad  una "intesa Stato-regioni sul Sistema
 statistico nazionale" (doc. 1), nella quale ci si limita a  convenire
 "che  evidenti ragioni di funzionalita' postulano la omogeneizzazione
 delle  varie  iniziative  regionali,  ai   fini   dell'efficienza   e
 dell'efficacia  dell'intero  sistema", e che "tali oggettive esigenze
 possono venir soddifatte attraverso intese tra Stato  e  regioni  che
 concernano gli aspetti piu' prettamente organizzatori delle strutture
 che andranno a costituire o rimodulare".
    Tutto  al contrario, dunque, di quanto e' affermato nelle premesse
 del decreto, si postulava in tali accordi non l'emanazione di un atto
 di indirizzo, ma la realizzazione di "intese" tra  Stato  e  regioni,
 che  avrebbero  tra  l'altro  dovuto  essere sottoposte al preventivo
 "esame tecnico da parte del comitato speciale".
    Nel testo poi delle "intese per la prima costituzione degli uffici
 di  statistica  regionale",  allegato  all'intesa  predetta,  non  si
 prevede affatto quanto e' contenuto nel decreto impugnato, ma  ci  si
 limita  a  enunciare  che  all'ufficio di statistica "va conferito un
 elevato grado di autonomia organica, tecnica e finanziaria"; che esso
 "e' il referente  regionale  nei  confronti  del  Sistema  statistico
 nazionale";  a  elencare  talune competenze dell'ufficio; a prevedere
 che per  la  formazione  dei  quadri  direttivi  le  regioni  possono
 avvalersi, mediante apposite convenzioni, delle strutture dell'Istat;
 che "nell'effettuazione delle indagini per conto dell'amministrazione
 di  appartenenza,  l'ufficio  si atterra' ai quadri concettuali, alle
 classificazioni, alle metodologie di rilevazione  e  trattamento  dei
 dati  concordanti  con il sistema statistico"; che le regioni, previe
 intese con l'Istat, possano avvalersi per le proprie  indagini  della
 rete  locale  di  rilevazione;  e  a confermare l'obbligo del segreto
 statistico come regolato dal d.lgs. n. 322/1989.
    Come  si  vede,  in  nessun   modo   il   decreto   impugnato   e'
 riconducibile,  nemmeno  dal  punto  di vista sostanziale, all'intesa
 approvata dalla conferenza.
    2. - Mancata consultazione della conferenza Stato-regioni.
    Ai sensi dell'art. 12, quinto comma,  lett.  b),  della  legge  n.
 400/1988  la  conferenza  permanente  per i rapporti tra lo Stato, le
 regioni e le province autonome deve  essere  consultata  tra  l'altro
 "sui  criteri  generali relativi all'esercizio delle funzioni statali
 di indirizzo e coordinamento inerenti ai rapporti tra  lo  Stato,  le
 regioni, le province autonome e gli enti infraregionali".
    Nella  specie  pero' tale consultazione non vi e' stata, ne' certo
 vale a sostituirla l'intesa - di contenuto affatto diverso -  cui  si
 e' fatto riferimento nel punto precedente.
    Tale  violazione  procedurale  si  configura  come vizio dal quale
 discende  di  per  se'  una  lesione   dell'autonomia   regionale   e
 provinciale.
    3.   -   Lesione   dell'autonomia  organizzativa  della  provincia
 autonoma.
    Diverse disposizioni del decreto  impugnato  ledono  concretamente
 l'autonomia organizzativa delle regioni e delle province autonome.
    In  particolare:  l'art.  3,  dedicato  all'"organizzazione  degli
 uffici di statistica delle regioni", stabilisce dei criteri direttivi
 che nulla hanno  a  che  fare  con  l'omogeneita'  delle  metodologie
 statistiche,    e   incidono   invece   direttamente   sull'autonomia
 organizzativa.
    Cosi' e' a dire delle previsioni secondo cui l'ufficio  e'  unico,
 e'  collocato  nell'ambito della presidenza della giunta regionale ed
 alle  dirette  dipendenze  del  presidente,  mentre  possono   essere
 costituite  sezioni  operative  distaccate,  dipendenti dall'ufficio,
 presso singole strutture  dell'organizzazione  regionale  (lett.  a);
 della  previsione  secondo  cui  agli  uffici  deve essere assicurata
 autonomia organizzativa e tecnica,  e  pure  autonomia  "finanziaria"
 "anche  attraverso  la  costituzione  di appositi fondi di bilancio a
 gestione separata" (lett. b): nel che si configura una lesione  anche
 dell'autonomia  contabile  delle  regioni e delle province autonome);
 delle minuziose previsioni circa il funzionario preposto all'ufficio,
 la sua nomina, la sua qualificazione, categorie entro le  quali  deve
 essere  scelto  (lett.  c); nonche' circa l'attrezzatura minima della
 quale l'ufficio sara' dotato, e che  sara'  "determinata  dall'Istat"
 (lett.  d), e circa il numero di addetti e l'articolazione in sezioni
 (lett. e).
    L'art. 4, primo comma, del decreto stabilisce che tutti i prodotti
 delle rilevazioni effettuate dall'ufficio nell'ambito  del  programma
 statistico  nazionale  "una  volta vagliate nella loro attendibilita'
 dal  responsabile  dell'ufficio  stesso",   devono   essere   inviate
 all'Istat nelle forme e con le modalita' che saranno fissate.
    A   sua   volta  l'art.  5,  che  si  riferisce  alle  rilevazioni
 statistiche "di interesse regionale", stabilisce al primo  comma  che
 "i  prodotti  statistici  ufficiali  dell'ufficio di statistica delle
 regioni  costituiscono  patrimonio  conoscitivo   delle   regioni   e
 principale  fonte  informativa  delle  stesse";  disciplina al quarto
 comma la diffusione, come dati  statistici  ufficiali,  dei  prodotti
 delle  rilevazioni,  stabilendo  che  essa "puo' essere assentita, su
 richiesta del presidente della  giunta  regionale,  dal  responsabile
 dell'ufficio  di  statistica  della  regione,  che  deve  previamente
 vagliarne l'attendibilita'", e che in  mancanza  di  tale  assenso  i
 prodotti  stessi  "non  possono  essere diffusi all'esterno come dati
 conoscitivi"; stabilisce al sesto comma che l'utilizzazione da  parte
 della  regione  di dati statistici provvisori, elaborati dall'ufficio
 di  statistica  "puo'  essere  consentita  in  via  eccezionale   dal
 responsabile  dell'ufficio  di statistica", e che tali dati "non sono
 considerati a nessun effetto dati statistici ufficiali e non  possono
 essere diffusi all'esterno come dati conoscitivi".
    Ora,  stabilire  quali  siano  i  compiti e le responsabilita' del
 funzionario preposto all'ufficio di  statistica,  i  suoi  poteri,  i
 rapporti  col presidente, le possibilita' e i limiti della diffusione
 all'esterno dei dati raccolti nell'ambito delle rilevazioni  autonome
 della  regione,  e'  materia  rientrante all'evidenza nella autonomia
 legislativa e organizzativa della regione o della provincia autonoma.
    4. - Altri profili di violazione dell'autonomia provinciale.
    L'art. 6, quarto comma, del decreto impugnato, dopo aver  previsto
 che l'ufficio di statistica della regione possa chiedere all'Istat la
 trasmissione   di   dati  individuali  in  possesso  dell'Istituto  e
 concernenti  il  proprio  ambito  demografico  e   territoriale   "se
 necessari  al fine della propria attivita' istituzionale", stabilisce
 che "il presidente dell'Istat valuta la richiesta tenendo conto delle
 necessita' espresse dall'ufficio di statistica della regione e  delle
 esigenze   di  riservatezza  imposte  dalla  disciplina  del  segreto
 statistico".
    Ora, l'art. 24, lett. e), della legge n. 400/1988 e l'art. 10  del
 d.lgs. n. 322/1989 stabiliscono che le regioni e le province autonome
 hanno "accesso diretto" al Servizio statistico nazionale e ai dati da
 esso elaborati.
    Specificamente,  l'art.  15  della  legge  11  marzo 1972, n. 118,
 stabilisce  che  "l'Istituto  centrale  di  statistica  e'  tenuto  a
 fornire,  a richiesta, le informazioni sui dati statistici di cui sia
 in possesso, alla regione Trentino-Alto Adige  ed  alle  province  di
 Trento e Bolzano, relativi ai settori di rispettiva competenza".
    A  sua volta l'art. 1 del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 228 (contenente
 nuove norme di attuazione  dello  statuto  speciale)  stabilisce  che
 l'amministrazione  statale e gli enti e istituti pubblici a carattere
 nazionale (fra cui  l'Istat)  forniscono,  a  richiesta,  all'ufficio
 provinciale  di  statistica  i  dati in loro possesso, resi anonimi e
 relativi  alle  singole  unita'  di  rilevazione  da  utilizzare  per
 elaborazioni statistiche nelle materie di competenza provinciale.
    Non si giustifica dunque in alcun modo un  potere  di  valutazione
 del  presidente  dell'Istat circa la trasmissione di dati individuali
 (che non  significa  dati  nominativi),  poiche'  non  si  tratta  di
 tutelare  il segreto statistico che e' volto al fine di apprestare le
 garanzie essenziali a  tutela  dei  diritti  dei  singoli  individui:
 sentenza   n.   139/1990),  ne'  e'  concepibile  che  il  presidente
 dell'Istat possa  essere  titolare  di  un  potere  discrezionale  di
 apprezzamento  circa  la  pertinenza  o  meno dei dati richiesti alle
 attivita' istituzionali della regione o della provincia autonoma.
    5. - Violazione dell'autonomia finanziaria.
    Il decreto impugnato  tace  sulle  modalita'  di  copertura  e  di
 rimborso   alle   regioni  e  delle  province  autonome  degli  oneri
 finanziari sostenuti per l'organizzazione e  l'attivita'  dei  propri
 uffici  di  statistica, allorquando essi operano nell'interesse dello
 Stato, nell'ambito del programma statistico nazionale.
    Ma, come questa Corte ha chiarito nella sentenza n. 139/1990,  non
 si  puo'  "esigere  che  le  regioni finanzino attivita' di interesse
 nazionale", onde le spese occorrenti per le attivita' che gli  uffici
 di  statistica  regionali e provinciali sono tenuti a compiere per il
 Servizio statistico nazionale,  ove  non  siano  altrimenti  coperte,
 devono gravare sul bilancio dell'Istat.
    Il  silenzio  del  decreto  impugnato  sul  punto sembra dunque in
 contrasto con il principio affermato da questa Corte; e  anche  sotto
 questo    profilo   l'atto   impugnato   e'   lesivo   dell'autonomia
 (finanziaria) delle regioni e delle province autonome.